Pablito

Paolo Rossi, il nome d’Italia, un sorriso vero, che ammalia, uno sguardo accattivante, e poi le reti… quelle tante. Anzi, no: Pablito! Te lo dirò: sei un Mito. Scattavi, scartavi; il primo senza freno l’altro un po’ di meno. Eppure la palla entrava, eccome se entrava… con la bava tutta lì, intorno alla bocca, gongolavo: «Sotto a chi tocca»! Incollato alla radiolina, proteso, fin dalla mattina, attendevo la notizia: il tuo goal? Una primizia! Ma poi giunse, in mezzo ai pali, un trionfo senza eguali! L’anno? Sì, l’Ottantadue. Le reti? Tre, una e due. Tre contro i Carioca, squadra forte resa fioca. E poi due contro i Polacchi, stesi a terra, fiacchi fiacchi. Una infine lì in finale, che trafisse e fece male ai Teutonici, distrutti, tutti insieme: proprio tutti! Caro Pablito, schivo ma ardito, accogli il mio saluto, carico d’affetto. Ho scritto di getto, ti chiedo perdono, ma il verso è sincero: è qui, te lo dono.

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